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Il cavo della mia mano era colmo dell'avorio di Lolita, sentiva ancora l'incurvatura della sua schiena pubescente – lo slittante avorio levigato della sua pelle attraverso il vestitino leggero che avevo mosso su e giù mentre la stringevo a me. Andai con passo fermo nella sua stanza messa a soqquadro, spalancai l'anta dell'armadio e mi immersi in un mucchio di indumenti sgualciti che l'avevano toccata. C'era in particolare una cosetta rosa, lacera, stropicciata, con un odore leggermente acre lungo la cucitura. Vi avvolsi l'immenso, congestionato cuore di Humbert. Un caos cocente ribolliva dentro di me – ma dovetti lasciar perdere quei panni e ricompormi in fretta, perché mi resi conto che la voce vellutata della domestica mi chiamava sommessamente dalle scale. Aveva un messaggio per me, disse; e, completando il mio automatico «grazie» con un garbato «non c'è di che», la buona Louise lasciò nella mia mano tremante una lettera non affrancata dall'aspetto stranamente lindo.

«Questa è una confessione: io ti amo [così cominciava la lettera, e per un attimo distorto scambiai quegli isterici sgorbi per gli scarabocchi di una scolaretta]. Domenica scorsa, in chiesa – cattivo, che non sei venuto a vedere le nostre splendide vetrate nuove! –, soltanto domenica, mio caro, quando ho chiesto al Signore cosa fare, mi è stato risposto di comportarmi come sto facendo adesso. Vedi, non ho scelta. Ti ho amato sin dal primo momento che ti ho visto. Sono una donna passionale e sola, e tu sei l'amore della mia vita.
«E ora, mio caro, carissimo, mon cher, cher monsieur, hai letto questa confessione; ora sai. Dunque, per piacere, fa' immediatamente le valigie e parti. Te lo ordina la tua padrona di casa. Sfratto il mio pensionante. Ti butto fuori. Via! Filare! Departez! Io sarò di ritorno all'ora di cena, se riuscirò a fare i centoventi all'andata e al ritorno senza andare a sbattere (ma che importanza avrebbe?), e non voglio trovarti in casa. Ti prego, ti prego, parti subito, immediatamente, non leggere neanche fino in fondo questo assurdo biglietto. Va' via. Addio.
«La situazione, chéri, è molto semplice. Naturalmente io so con assoluta certezza di non essere nulla per te, nulla di nulla. Oh, certo, ti piace parlare con me (e prendermi in giro, tapina che sono), ti sei affezionato alla nostra casa accogliente, ai libri che amo, al mio delizioso giardino, persino ai chiassosi modi di Lo... ma io, per te, non sono niente. Vero? Vero. Proprio niente. Ma, se dopo aver letto la mia "confessione" tu decidessi, in quel tuo modo tenebroso da romantico europeo, che mi trovi abbastanza attraente per approfittare della mia lettera e farmi un'avance, allora saresti un criminale – peggio di un rapitore che stupra i bambini. Perché vedi, chéri, se tu decidessi di rimanere, se mai io dovessi trovarti ancora a casa (e so bene che non ti troverò – per questo posso continuare su questo tono), il fatto stesso che tu sia rimasto vorrebbe dire una cosa sola: che mi vuoi quanto ti voglio io: come compagna di tutta la vita; e che sei pronto a legare per sempre la tua vita alla mia e a fare da padre alla mia bambina.
«Lasciami delirare e divagare ancora un pochino, carissimo, tanto so che hai già stracciato questa lettera, e i suoi pezzi (illeggibili) saranno nel vortice della toilette. Mio caro, mon très, très cher, che mondo d'amore ho costruito per te in questo giugno miracoloso! So bene quanto sei riservato, quanto sei 'britannico'. La tua reticenza da vecchia Europa, il tuo senso del decoro forse sono rimasti scandalizzati dall'audacia di questa ragazza americana! Tu, che sai nascondere i sentimenti più intensi, penserai che sono una stupidella senza pudore per averti così spalancato il mio povero cuore ferito! Negli anni passati ho provato molte delusioni. Il signor Haze era una persona meravigliosa, un animo d'oro, ma purtroppo aveva vent'anni più di me e – be', niente pettegolezzi sul passato. Mio caro, se non hai dato ascolto alla mia richiesta e sei arrivato sino all'amara conclusione di questa lettera, la tua curiosità sarà ben soddisfatta. Ma non preoccuparti: distruggila e va'. Non dimenticare di lasciare la chiave sulla scrivania della tua stanza. E uno straccio di indirizzo, così che io possa rimborsarti i dodici dollari che hai già pagato sino alla fine del mese. Addio, mio caro. Prega per me, se qualche volta preghi.
C.H.».

Ho qui riportato ciò che ricordo di quella lettera, e ciò che ricordo lo ricordo parola per parola (compreso quell'atroce francese). Era lunga almeno il doppio. Ho tralasciato un passaggio lirico che al momento avevo più o meno saltato; vi si parlava del fratellino di Lolita, morto a due anni quando lei ne aveva quattro, e di quanto gli avrei voluto bene. Vediamo, che altro potrei dire? Ah, ecco. C'è la possibilità che il «vortice della toilette» (dove la lettera andò effettivamente a finire) sia un mio prosaico contributo. Lei probabilmente mi supplicava di bruciare la sua epistola in un fuoco acceso all'uopo.
La mia prima reazione fu di ripulsa e di fuga. La seconda fu come la mano serena di un amico che, posandosi sulla mia spalla, mi esortasse a prendere tempo. Così feci. Emersi dal mio stordito torpore e mi resi conto che mi trovavo ancora nella camera di Lo. Al muro, sopra il letto, attaccata tra il muso di un cantante confidenziale e le ciglia di un'attrice cinematografica, c'era una réclame a piena pagina strappata da una rivista patinata. Rappresentava un giovane marito bruno, con un'espressione vagamente estenuata negli occhi irlandesi. Indossava una vestaglia di Tal dei Tali e reggeva un vassoio a ponte di Vattelapesca, con sopra la colazione per due. La didascalia, una citazione del Reverendo Thomas Morell, lo definiva un «eroe sgominatore». La signora sgominata (fuori quadro) si stava presumibilmente accomodando sui cuscini per ricevere la sua metà del vassoio. Come sarebbe riuscito il suo compagno di letto a infilarsi sotto il ponte senza far disastri non era chiaro. Lolita aveva tracciato una scherzosa freccetta in direzione del volto di quell'amante spossato, e in stampatello aveva scritto: H.H. E in effetti, nonostante qualche anno di differenza, la somiglianza era impressionante. Sotto c'era un'altra fotografia, sempre una pubblicità a colori. Un illustre commediografo fumava solennemente una Dromedary. Lui fumava sempre Dromedary. La somiglianza era lieve. Sotto ancora c'era il casto letto di Lo, disseminato di fumetti. Lo smalto della testiera era scrostato, e sul bianco affiorava una serie di macchie nere più o meno tondeggianti. Dopo essermi assicurato che Louise se n'era andata mi infilai nel letto di Lo e rilessi la lettera.

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