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Questa risultò l'ultima di una ventina di annotazioni. Si osserverà leggendole che, per quanto inventivo possa essere il diavolo, lo schema quotidiano non variava mai. Prima egli mi tentava e poi mi frustrava, lasciandomi con un dolore sordo alla radice stessa del mio essere. Io sapevo esattamente quello che volevo fare, e come farlo, senza violare la castità di una bambina; m'ero pur fatto un po' d'esperienza nella mia vita pederotica. Avevo posseduto visivamente, nei parchi, varie ninfette maculate di luce; mi ero incuneato, guardingo e animalesco, nell'angolo più torrido e gremito di un autobus pieno di scolare aggrappate alle maniglie. Ma da quasi tre settimane le mie patetiche macchinazioni venivano sistematicamente interrotte. La colpevole di queste interruzioni era di solito la Haze (la sua paura, come il lettore potrà notare, non era tanto che io godessi di Lo, ma che Lo traesse piacere da me). La passione che avevo maturato per quella ninfetta – la prima ninfetta della mia vita che potessi finalmente raggiungere coi miei artigli goffi, pavidi e dolenti – mi avrebbe certo ricacciato in una clinica, se il diavolo non si fosse accorto che, per poter giocare ancora con me, doveva concedermi un po' di sollievo.
Il lettore avrà notato anche il curioso Miraggio del Lago. Sarebbe stato logico, da parte di Aubrey McFatum (così mi piacerebbe soprannominare quel mio diavolo), prepararmi una sorpresina sulla spiaggia promessa, nella presunta foresta. Ma nella promessa della Haze si celava l'imbroglio: mi aveva taciuto che sarebbe venuta anche Mary Rose Hamilton (a sua volta una piccola bellezza bruna), e che le due ninfette avrebbero parlottato tra loro, e giocato tra loro, e se la sarebbero spassata un mondo mentre la Haze e il suo bel pensionante conversavano composti e seminudi al riparo da sguardi importuni. Eppure, fra parentesi, gli sguardi importunarono e le lingue ciarlarono. Com'è strana la vita! Noi tutti ci premuriamo di stornare proprio il destino che volevamo blandire. Prima del mio arrivo, difatti, la mia affittacamere aveva in mente di far venire in casa, con Lolita e me, una certa signorina Phalen, una vecchia zitella la cui madre era stata cuoca dagli Haze; e lei, career-girl in pectore, si sarebbe cercata un lavoro confacente nella città più vicina. La Haze si era figurata la situazione con grande chiarezza: da un lato l'occhialuto, gibboso Herr Humbert, venuto coi suoi bauli mitteleuropei a coprirsi di polvere nel suo angolino, dietro una pila di vecchi tomi; dall'altro la figlioletta, bruttina e poco amata, sorvegliata con rigore dalla signorina Phalen, che già una volta aveva tenuto la mia Lo sotto la sua ala d 'avvoltoio (lei ricordava l'estate del 1944 con un fremito d'indignazione); e infine la Haze medesima impiegata come receptionist in un'elegante metropoli. Ma un evento non troppo cervellotico venne a intralciare quel programma: la signorina Phalen si fratturò un'anca a Savannah, in Georgia, il giorno stesso del mio arrivo a Ramsdale.

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